lunedì 12 marzo 2018

La biografa (D. Constantine) Edizioni Nutrimenti

L’amore può vivere gravato da un’assenza totale, assoluta, perché l’oggetto d’amore è scomparso? È la domanda che percorre l’anima di Katrin, protagonista del romanzo La biografa, morbido capolavoro di David Constantine. La risposta non esiste, ma alla fine del romanzo, quando la donna ha deciso di non voler più scrivere la vita del marito scomparso, Katrin forse avverte in sé un sospetto di speranza. Molto flebile. La “soluzione” le è stata suggerita dalla sua dottoressa, una donna coraggiosa, da poco morta di cancro. Per la dottoressa Katrin non deve “superare la cosa”, né elaborare il lutto: “Perché dovrebbe anche solo volerlo? Lei lo amava, e lo ama ancora, non credo che possa desiderare di smettere di amarlo. Quello che vuole è essere in grado di vivere, e per farlo è necessario convertire queste dolore che la uccide in ciò che l’ha generato, nell’altro lato della medaglia, vale a dire nell’amore che continua e si ravviva”. Katrin non sa se questo atteggiamento sia risolutivo: spesso, dice, questa idea le sembra una bugia, “altri giorni mi sembra che sia l’unica verità, e mi sento più vicina a viverla”.
Katrin è una donna che ha sposato Eric, un uomo più anziano di lei, che muore di cancro nel 2012. La morte del marito non è solo una tragedia di per sé, ma è un’ulteriore privazione per lei, perché all’assenza fisica dell’uomo si aggiunge la mancanza di una parte di esistenza che lui ha vissuto senza di lei. La vita di quando lui era giovane, aveva vent’anni, la vita di quando Katrin non era ancora nata: “senza di lui [Eric] Katrin aveva perso la forza e nessuno le avrebbe mai potuto restituire gli anni dell’adolescenza, della giovinezza, della prima maturità che lui aveva vissuto senza di lei, senza sapere che Katrin esistesse”.
Katrin è una biografa di poeti e artisti minori. È una studiosa polacca da tempo trapiantata in Inghilterra. Nondimeno, l’idea di ricostruire la vita del marito, o almeno una parte, quella degli anni Sessanta, non è solo legata al suo mestiere, ma nasce dal desiderio di tenere viva la memoria dell’uomo, narrando i fatti che gli sono capitati, leggendo le lettere scritte e ricevute, osservando le fotografie. In realtà, una biografia di una persona cara non vive solo di documenti: ha bisogno di racconti orali. Katrin riesce infatti a cominciare il “lavoro” grazie a Daniel, un caro amico di Eric, il quale le narra di quegli anni giovanili: della scommessa tra amici di trovarsi un’estate in un paesino della Francia, Vizille, arrivando da soli, ognuno a proprio modo. Solo Eric e Daniel raccolsero la sfida e, arrivando in modo fortunoso, percorrendo strade diverse, si trovarono a fine agosto 1962 a Vizille, vicino Grenoble.
E poi c’è Monique che arriva al funerale di Eric nel suo montgomery rosso e dona a Katrin un oggetto appartenuto al passato di lei e di lui. Monique infatti, tra l’autunno del 1962 e la fine inverno del 1963, è stata l’amore francese di Eric, la donna per cui lui è stato in Francia due volte, la donna per cui non ha più seguito l’università, la donna che lo ha reso disperatamente felice. Katrin sapeva qualcosa di lei ma ora, dopo il funerale, accingendosi a scrivere la vitla del marito, decide di leggere le lettere di Monique, sia quello che Eric stesso lesse e a cui rispose, sia quelle che, dopo la fine della storia per scelta di Monique, lui non aprì mai, forse per rancore.
Katrin non è gelosa di quell’amore che fu tanto coinvolgente e tormentato, durante l’inverno più freddo del ‘900. Ma è da lì che Katrin parte per provare a salvare se stessa: ella sa benissimo che scrivere la vita degli altri non aiuta a riempire la propria, però sa anche che solo in quel modo può sapere qualcosa di Eric e avvertirne la presenza. Da questo punto il romanzo cambia registro: non racconta più solo il dolore per una perdita, divenendo invece il resoconto sull’esistenza di una donna che, scrivendo del marito morto, scopre altre storie, scopre che la vita è una storia di storie che s’intrecciano. E i personaggi che la circondando l’aiutano, ognuno a suo modo, a recuperare una parte di sé. C’è Daniel che le racconta dell'amore tra Eric e Monique, di come tale amore finì, di come Eric rimase deluso e del successivo, frettoloso, matrimonio con Edna, la moglie di Eric prima di Katrin. Poi c’è la dottoressa Gracie, che morirà di cancro, la quale cerca di far vivere a Katrin il lutto senza cancellare nulla, ma nutrendosi dell’amore verso il marito. Poi ci sono il fratello di Eric e la cognata, e infine un ragazzo, Patrick, che Katrin incontra al bar dove solitamente passa parte del suo tempo, il quale le racconta che sta per andare a un’audizione. Katrin gli augura buona fortuna e alla fine Patrick otterrà il lavoro, potrà andare a vivere con la sua compagnia, avrà un bambino, divenendo amico di Katrin.
Non so se esista una “morale” alla fine di questo bel libro. Esiste certamente la disamina di un dolore che non ha parole, quello della morte di una persona fondamentale; ma esiste altresì l’idea secondo la quale gli uomini vivono solo attraverso le parole, perché non sanno fare altro. Se le parole falliscono nel raccontare i dolori più acuminati, possono talvolta offrire l’occasione per alleggerire la sofferenza, permettendo che esso sia condiviso con altre persone in grado di partecipare ad esso. Senza rendersene conto, Katrin agisce in questo modo: la donna, forse inconsapevolmente, distribuisce il proprio dolore su altre persone, non per liberarsene, bensì per renderlo meno capace di cancellare la propria vita. Per questo Katrin riprende a vivere: scrivendo del marito, della sua gioventù, del suo grande amore, della ex moglie Edna, dialogando con Daniel, incontrando alla fine Monique a Parigi, Katrin si sente di nuovo parte di qualcosa, di un universo che continua a vivere nonostante il suo dolore insopportabile. Sebbene poi la morte della sua confidente, la dottoressa Gracie, la abbatta ulteriormente, Katrin scopre che il destino a volte può essere benevolo e che i suoi doni, come i suoi torti, seguono una logica casuale, non premeditata.
In sostanza, proprio quando Katrin si rende conto che scrivere la vita del marito non la sta aiutando, non le interessa più, arriva l’epifania, grazie a una lettera di Monique che le propone di vedersi a Parigi. Ma questo scoppio di vita, o comunque questo nuovo desiderio di assaporare l’esistenza, fragile ma fondamentale, nasce proprio nel momento buio della sconfitta, nella decisione presa di non scrivere più di Eric. Tuttavia: perché non vuole scrivere più di lui? Katrin lo rivela alla fine a Daniel: non lo fa per gelosia degli amori passati di Eric, né perché abbia raggiunto delle conclusioni, ma “A essere onesti, per provare a vivere … credo di dover interrompere la scrittura a metà perché questa è la verità, la verità di tutto il progetto … Se continuassi porterei avanti l’illusione che possa esserci un finale a tutto questo e una forma definitiva. E non c’è, in realtà”.

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